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Il salotto letterario di Henriette Herz


Berlino, 1845. Tempi difficili, tre anni dopo scoppierà la Rivoluzione. Siamo a palazzo, e Alexander von Humboldt (sì, proprio lui, il grande esploratore tedesco!) ha chiesto un’udienza al re in persona, Federico Guglielmo IV. Ma non è lì a promuovere la sua opera, o a discutere della fragile situazione politica in una Germania soffocata dallo spirito di censura della Restaurazione.


È lì ad intercedere per una donna… ebrea… di 81 anni! E riesce a convincere il re ad aiutarla economicamente. Chi era costei, di cui il re stesso ammise che “finché le sue forze bastavano”, avesse “lavorato così tanto per il bene di tutti” e che era diventata uno dei “simboli intellettuali di Berlino”?


Facciamo un passo indietro nel tempo. Siamo verso la fine del Settecento, a casa di un medico ebreo, Marcus Herz. Un grande uomo di cultura, che era stato anche uno degli studenti preferiti di Kant. Come da consuetudine del tempo, il dottor Herz prende per moglie una ragazzina giovanissima, di appena 15 anni, Henriette. Bella, bellissima, ma anche e soprattutto molto intelligente. Sostenuta dal marito, questa affina la sua formazione già di rilievo e studia tantissimo, addirittura la lingua ebraica, sanscrita, turca, malesiana, oltre a quella francese, tedesca e italiana.


Ispirata dalle frequenti serate in cui il marito invitava i migliori lumi di Berlino a discutere delle ultime novità scientifiche, crea lei stessa un’associazione con l’obiettivo di “formarsi a vicenda nella morale e nello spirito”. Un’associazione che si scioglie presto, ma che segna l’inizio di uno dei salotti letterari più famosi di Berlino, descritto così da Karl Hillebrand, segretario di Heinrich Heine: “Henriette leggeva benissimo, e la si ascoltava con piacere. Anche i nobili venivano a trovarla. Tutte le celebrità del tempo si ritrovavano nel suo salone…”


E in effetti, la lista dei suoi ospiti si legge come un who’s who dell’elite intellettuale del tempo: Mirabeau, Schlegel, Schleiermacher, i fratelli Humboldt, Jean Paul, Ludwig Börne, Schiller, Madame de Stäel e molti altri la andavano a trovare per discutere di filosofia e letteratura. Nel suo salone (e per esempio in quello di Rahel Levin) si andò a creare un nuovo stile di rapporti sociali, aperto e trasversale, tanto che donne e uomini, nobili e borghesi, cristiani ed ebrei discutevano alla pari.


A mio avviso, non è esagerato affermare che questi salotti diedero un importante contributo all’emancipazione delle donne e degli ebrei (che – per caso? – dopo pochi anni ricevettero almeno formalmente il riconoscimento degli stessi diritti dei cristiani in Prussia, con le famose riforme di Stein e Hardenberg).


E anche oggi, perché non farci ispirare dalla storia di questa donna e ricominciare a creare ritrovi di letteratura, storia e filosofia? Sono sicura che potrebbero diventare anche oggi germi di progresso, comprensione, tolleranza e umanità.







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