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La Porta di Brandeburgo


La Porta di Brandeburgo è sicuramente uno dei luoghi più fotografati, riprodotti e brandizzati della Berlino contemporanea. Poprio in questi giorni, con il ricorso del 25° anno della caduta del Muro, la sua struttura elegante ed imponente è entrata ancora una volta nelle case di milioni di persone grazie ai concerti dei Kraftwerk, Peter Gabriel e della Berliner Staatskapelle diretta da Daniel Barenboim.

Chiunque veda la Porta di Brandenburgo è istintivamente portato a pensare a quel giorno, il 9 novembre 1989, quando migliaia di cittadine e cittadini di Berlino ovest cominciarono a scavalcare il Muro proprio lì davanti (forse meno noto ma emblematico è che appunto quasi nessun cittadino dell’est era presente, visto che per un cittadino dell’est l’area attorno alla Porta era sostanzialmente un’area irraggiungibile e praticamente spopolata): ma qualche anno prima, nel 1987, lì aveva tenuto il suo discorso Ronald Reagan con il famoso richiamo: “Mr. Gorbachev, tear down this wall”. E sarà poi invece Kohl a passare sotto i colonnati neoclassici della porta addirittura con Papa Wojtyla pochi anni più tardi. Insomma il XX secolo inscatolato e compresso, pronto all’uso e al riuso simbolico.


Rimane il fatto che quella porta ci racconta però qualcosa di più della storia della nostra amata città. Innanzitutto il suo anno di inaugurazione, il 1791, fase di definizione e sistemazione di quello “spirito tedesco” che spesso sta sulla bocca di tanti e che trova proprio nel portone neo-classico costruito dall’architetto Carl Gotthard Langhans una delle sue definizioni più lampanti.

Sul modello dell’ingresso monumentale dell’Acropoli d’Atene l’architetto commissionato decise di dare forma compiuta a quel nuovo spirito filosofico che vagava per le coorti tedesche che era sì segnato da un ritorno all’ordine naturale classico (ovvero della ricerca di armoniosità tra i livelli naturale, umano e divino) ma innanzitutto dalla urgenza molto più sociale e politica di pensare ad uno spazio e ad un ordine armonico per il cittadino.


Quelle porte, che in molte città avevano determinato per decenni il controllo dei dazi e dei gabelli (a Berlino erano complessivamente 18), diventavano ora dei passaggi simbolici, indicanti l’entrata nella vita cittadina e nel discorso politico. Certo il tutto pesantemente condito dai motivi della guerra, del conflitto e della Grande Prussia, segnata dalla dea della Vittoria in azione sulla quadriga di memoria romana nella parte superiore del portone, ma comunque con al suo centro l’idea di una certa superiorità e elevazione della vita cittadina. Il segno dell’entrata nella città, intesa come modernità e discorso pubblico quindi.


Ma forse è proprio questa insostenibile prerogativa della porta più conosciuta al mondo di essere “simbolo di un discorso pubblico e civile” come “misura del cittadino moderno”, a segnarne crisi e fallimento. Prima dei contrasti della Guerra Fredda sarà infatti il passaggio in marcia trionfale delle SA del 1933 a raccontarci dei rischi della celebrazione vittoriosa e dell’esaltazione degli umani destini. Il Nazismo, la Guerra Fredda, la divisione della Germania… questi sono stati per decenni fino ad oggi i riferimenti connessi a questo luogo.


Ma forse è proprio questa la sfida di tutte queste faticose commemorazioni: di segnare costantemente il passaggio ad un nuovo mondo, a nuove speranze, segnate sì dai paradossi della contemporaneità ma ancora fedeli all’idea di quel passaggio ad una vita cittadina migliore e più civile.






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