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Moses Mendelssohn


Tra tutte le figure di pensatori, scienziati e filosofi legate alle sorti di Berlino, una in particolare riflette lo spirito aperto e al tempo stesso impervio della città: Moses Mendelssohn. Nella sua esistenza personale si racchiudono infatti la bellezza e il potenziale della modernità berlinese.


Moses, nato a Dessau nel 1729, arrivò quattordicenne a Berlino, come leggenda vuole, “dopo cinque giorni di cammino.” Il permesso di risiedere nella grande città era per lui, come per qualsiasi altro ebreo prima dell’editto prussiano del 1812, legata a vincoli speciali e limitata all’interno di un meccanismo arbitrario e incerto. Moses, che nel 1743 parlava ancora solamente yiddish, riuscì in pochissimi anni a sviluppare la sua vena filosofica e a intessere rapporti con i più importanti rappresentanti dell’Illuminismo tedesco (tra cui Lessing e Nikolai).


Se oggi infatti lo si identifica come il capostipite di una dinastia affascinante che diede all’ebraismo tedesco generazioni di musicisti, architetti e banchieri, va anche ricordato come il fondatore dell’Illuminismo ebraico tedesco (Haskalah) e l’ispirato autore di una sensibile traduzione tedesca del Pentateuco (1783).


La sua carriera e la sua attitudine filosofica hanno segnato in maniera incontrovertibile il pensiero tedesco da Kant ad Adorno. E ancora oggi, camminando per le strade di Mitte, è possibile andare a scoprire le tracce della sua vita e di quell’età straordinaria della Haskala.



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